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ATESSA UNA CITTÀ DA VIVERE. In giro per la città

Un'affabile ospitalità vi attende per soddisfare ogni esigenza: singola di famiglia o di gruppo; pronta ad accompagnarvi per eventi conviviali o soggiorni turistici. L'hotel Ristorante Al Duca si pregia di segnalare suggestivi itinerari turistici di carattere: naturalistico, storico, culinario, religioso, sportivo. A tal scopo si può usufruire gratuitamente di ingresso alla piscina comunale , sconti per campi da tennis , guide per escursioni in montagna o visite alla città.

Sono raggiungibili con circa 30 minuti le spiagge della costa adriatica, le località montane dei parchi e delle riserve.

I  PERCORSO
San Leucio – Piazza Municipio

Atessa si stende su un territorio molto vasto, con confini frastagliati ed articolati da lambire diciotto comuni. Nel suo interno comprende settantaquattro frazioni. Ha una estensione di 11.003 ettari. Si trova a 420 metri sul livello dei mare. Il paese sorge sulla sommità di un rilievo ben definito da sei collinette, come gobbe cammelliane, le quali ospitano circa 4.000 persone e servizi sociali. Il resto della popolazione atessana, costituita di poco più di diecimila abitanti, vive nelle numerose e sparse contrade. Il ritrovamento di alcune tombe (stanze sannitiche del VID a.C. scoperte a Coste di Serre nel rione Santa Maria ) colloca la storia di Atessa prima della venuta di Cristo. Con le invasioni barbariche essa ebbe molto a soffrire, pur vivendo in un angolo appartato. Voglio aggiornarvi, inoltre, che in alcune vie e vicoli sono stati evidenziati ventidue piccoli frantoi artigianali: da alcuni si estraeva l’olio con l’acqua calda. L’inizio del nostro percorso è stato la centrale Piazza Oberdan, detta comunemente Piazza Fontana, perché v’era una monumentale fontana ricca di ricordi amorosi, di pettegolezzi, di notizie varie. Siamo passati davanti alla cattedrale di San Leucio. La chiesa che abbiamo ammirato, prima, è uno dei monumenti più significativi d’Abruzzo, e fu eretta tra i due rioni primitivi di santa croce e di San Michele, là, dove secondo la leggenda aveva il covo il drago ucciso dal Santo, a cui, dopo, fu dedicata la chiesa. La facciata, di grande pregio artistico, ha subìto vari restauri: l’ultimo risale al 1935. L’interno occupa una superficie di circa 500 metri quadrati, e si presenta a cinque navate divise da pilastri. Dì grande interesse sono il pulpito ed il coro in noce scolpito ed intagliato dai fratelli Mascio.
In un locale, adiacente alla sagrestie sono a disposizione dei visitatori vari oggetti di valore. In essa è la sede della congrega del SS. Sacramento e Monte dei Morti, la quale ha avuto funzioni spirituali ed assistenziali. Sotto le tre navate originarie sono seppelliti benefattori, curati e confratelli. Lasciando via Roma, siamo entrati a Piazza Municipio. Sul lato sinistro, lì, v’è la casa in cui nacque e visse gli ultimi anni della sua esistenza terrena il Vescovo Benedetto Falcucci. Diamo un sguardo alla chiesa di san Domenico, la quale, in passato, è stata parte di un complesso comprendente anche il convento dei domenicani. La chiesa, che si fa risalire al 1275 ed intitolata a Maria santissima Annunziata, ha subito ampliamenti e riedificazioni. L’interno, a tre navate, ha sulle pareti laterali altari, statue e tele. E’ sede della Congrega dei Santissimo Rosario. Del vecchio convento domenicano rimane visibile ancora la struttura che è il municipio con annesso teatro comunale. Prima di lasciare questa piazza vogliamo dare un fugace sguardo al portone della famiglia Orsini, in cui sono evidenti tre pigne ed un rilievo. Le pigne vogliono significare l’utilità comunitaria. Questa piazza è chiamata anche “‘ Lu mercate “, perché fu luogo del mercato, dove i contadini portavano i loro frutti, i negozianti spandevano i panni sulle bancarelle e la gente comprava, curiosava, dialogava, comunicava. Inoltre era anche il Forum dove si discuteva di politica, di assistenza, di organizzazione, di congreghe, di curati, di pellegrinaggi, di servizi, e di ogni altro problema cittadino. Da questa piazza, come possiamo vedere, si emettono due strade: Via Luigi Cinalli che passa davanti alla scuola elementare, ex convento delle suore, e Via Menotti de Francesco, lungo la quale è situata la chiesa della Cintura o di Santa Giusta. Nell’interno si conserva una pianeta riccamente lavorata del 1825 e donata dal padre Tommaso Bartoletti, domenicano e storico atessano. La chiesa è sede dell’antica congregazione della cintura, sorta nel 1725. Per una particolare conoscenza della storia di Atessa si può consultare il testo: Atessa – Guida della Città dell’Archeoclub di Atessa.

II  PERCORSO
Piazza Santa Croce

Abbiamo raggiunto Piazza Santa Croce. Lungo l’itinerario abbiamo potuto ammirare la Porta di Santa Margarita, di epoca pre-angioina, che si apre sulle digradanti colline. Alcune ricoperte di oliveti e vigneti, altre coltivate a grano, ad erbasulla, a grano tic, ecc. Fu di accesso alla città trafficata per i commerci con Lanciano e paesi vicini. Ad essa fa sfondo, come scenario, la facciata della chiesa di Santa Croce, protesa con il suo possente sperone verso la Valle dei Sangro. Fu costruita in epoca remotissima. Nell’interno si possono osservare gli altari di Santa Maria delle Grazie e di San Francesco di Paola con decorazioni dell’artista atessano Giuseppantonio Cardona, le due statue di san Francesco d’Assisi e dell’lmmacolata Concezione che si devono ad un altro artista concittadino Gabriele Falcucci, sordomuto. La detta chiesa, nei tempi passati, fu meta di continui pellegrinaggi. 1 devoti della madonna delle grazie, nell’entrare al tempio, si prostavano davanti alla porta e con le dita toccavano le “spallette” della porta: il logorio prodotto sulla pietra delle due colonne scavò, a lungo andare, solchi profondi che sono tuttora visibili. Nel palazzo della famiglia Giannico che vediamo al termine della Via De Francesco, prima via del Popolo, nacque don Epimenio Giannico, senior, che fu il foridatore della Cassa Rurale ed Artigiana, e dove ebbe i natali do Epimenio Giannico che fu vescovo di Trivento.

 

 

 

 

III  PERCORSO
Piazza Castello

Dalla piazza di Santa Croce, attraverso una caratteristica gradinata che fiancheggia la chiesa, ci siamo inoltrati nell’antico quartiere di Santa Croce, ricco di memorie storiche. Il rione, inoltre , merita di essere menzionato, perché in esso abitavano parecchi “Vatecari” vetturali che trasportavano cose con muli da soma. La via che abbiamo percorso si chiama via della Vittoria. Ad essa affluiscono caratteristici vicoli stretti; è fiancheggiata da case addossate le une alle altre. Le case basse erano quelle dei poveri, mentre le abitazioni dall’elegante signorilità erano dei ricchi. Prima di entrare al largo castello, all’inizio della Via di Mezzo, si vede la casa di don Tommaso “Mazzemarelle”, studioso di lingue classiche e professore, privato, di tanti studenti atessani. Abbiamo raggiunto, così, Piazza Castello. Ai nostri occhi balza la chie-setta di San Pietro, vetusta ed abbandonata. Fu dedicata ai santi Apostoli Pietro e Paolo. Il 29 giugno si celebrava la festa in onore dei due santi con la indimenticabile “Tavola della Cuccagna” che offriva allegro divertimento alla cittadinanza , in essa è stato istituito li centro degli Anziani dall’amministrazione comunale. Vi possiamo scorgere, in fondo e sul lato destro, un palazzo con portale di gusto settecentesco, dove nacque don Evandro Marcolongo, sacerdote e poeta; mentre sulla sinistra e di fronte al citato palazzo v’è la casa De Marco, prima casa degli Scalera, con finestra in pietra del 1488, dall’arco ogivale con capitelli e leoni. Lasciando questa piazza, scendiamo la salita castello ed in fondo ad essa vediamo l’edificio della scuola elementare costruito là dove era il monastero di San Giacinto dell’ordine delle clarisse fondato nel 1667. I resti del corridoio, con finestre ad arcate, sono tuttora visibili dal cortile della scuola e dalla sottostante via che prende il nome dalla chiesa comunale di Sant’Antonio. Le suore dei convento raccoglievano i neonati rifiutati e messi nella “ruota” dalle ragazze madri.

IV  PERCORSO
La Torretta

Attraversando Via Roma siamo giunti alla centrale Piazza dei Caduti, posta a sella tra i due primitivi paeselli ATE e TIXA. Sulla parete laterale esterna della chiesa di San Giovanni abbiamo potuto osservare il monumento che la Città di Atessa ha voluto dedicare a caduti militari e civili delle due guerre mondiali. Un tempo v’era la porta di San Giovanni o porta cannella. Abbiamo imboccato, poi, il corso Vittorio Emanuele, la più animata via cittadina, su cui si affacciano antichi palazzi signorili e da cui iniziano numerosi vichi e ripide gradinate. Lasciando il corso , siamo entrati in via della Pace, dalla quale, ad un tratto inizia via Belvedere per arrivare alla Piazzetta di San Michele. Qui vi è la chiesa di San Michele. La facciata presenta tra il portale ed il finestrone, come abbiamo osservato in sosta, la lapide che riproduce gli elementi del santo: la bilancia, la corazza, la spada e due scudi. E’ sede parrocchiale. Ad un tiro di sasso, passando per una stradina, ci siamo trovati davanti all’edificio dell’asilo. Opera realizzata dalla Congrega del Santissimo Sacramento e Monte dei morti nell’ultimo decennio del secolo scorso. Abbiamo fiancheggiato in parte, il palazzo Ferri e Coccia, risalente al 1569. Edificio grande e signorile in cui i nobili del tempo si ritrovano insieme per lauti banchetti e per discutere su problemi politici, religiosi, e sociali del paese. Ci troviamo ora sulla Torretta. Come possiamo vedere è una piazza di modesta dimensione in cui si affacciano case basse, vetuste e ristrutturate. L’unico quartiere dove non è possibile arrivare con veicoli ed è posto nel punto più alto della città. Dalla Torretta, per un vico stretto, arriviamo alla Porticella, un’altra porta, frequentata nel passato per il commercio con Vasto. Da questa usciamo dall’abitato di san Michele e ci avviamo al Torrione che ci invita a sostare brevemente per osservare la sua antichità e la sua caratteristica struttura. Scendiamo in brevissimo tempo, i Gradini alla Torretta per riprendere il Corso. Ed ecco alla nostra vista l’Arco ‘Ndriano”‘ o porta di San Nicola. Passeggiamo per il rimanente Corso ed entriamo a Piazza Garibaldi; grandissima e ricca di manifestazioni folcloristiche, di serate musicali, di feste, di incontri vari. Un tempo  si teneva il mercato di giovedì, dei maiali ingrassati ed il raduno dei tori per il controllo sanitario e per la conoscenza della razza. Su un lato spicca il Maestoso palazzo degli Spaventa, sullo sfondo, invece, dell’ampia piazza è situata la chiesa di San Rocco che, nel passato fu parte del conventino dei Carmelitani ed oggi adibito ad Ospedale Cìvile. La piazza è sovrastata dal colle di Cristoforo su cui sì innalza una colonna votiva con nicchie che gli atessani vollero dedicare al santo martire di cui s’era invocata la protezione durante la peste del 1657.

 Tra Storia, tradizioni e leggenda: “Il Convento di San Pasquale nell’incanto di Vallaspra”

Nel nome Vallaspra, valle-aspra, si intuisce la peculiarità di una natura selvaggia ed infruttuosa, ma anche la sedimentazione di una lunga e travagliata vicenda storica e religiosa che, a lunghi periodi di splendore e di apostolato, ha alternato periodi di degrado e di abbandono. La storia del convento di Vallaspra è legata allo spirito francescano ed all’incessante opera di evangelizzazione dei Frati osservanti minori, particolarmente intensa in Abruzzo, sotto la spinta dei modelli di vita religiosa e degli esempi di predicazione forniti da apostoli come San Bernardino da Siena, San Giovanni da Capestrano, San Giacomo della Marca.

Nel lontano 1408, Tommaso da Firenze, frate laico e segretario del Padre Nicola da Osimo, commissario della provincia di Sant’Angelo in Puglia, arrestava il suo peregrinare in terra frentana, dinanzi ad un’antica “cona” raffigurante la Madonna Addolorata con in grembo il Cristo Morto ed ai lati San Giovanni e San Francesco a destra, la Maddalena e Sant’Antonio da Padova a sinistra, venerata in un posto brullo e selvaggio, appunto “Vallassero” di Atessa. Conquistato dalla suggestiva sacralità del luogo e del profondo significato di questa pietà, fra Tommaso diede inizio alla edificazione del primo nucleo del convento, terminato ed inaugurato appena dieci anni dopo, nel 1430. Disagi e sofferenze accompagnarono i frati durante i lavori e, come riparo dalle intemperie e dalle fiere, essi costruirono delle capannette di tavole, poggiate su una grande e secolare quercia, l’albero fu venerato e rispettato ancora per secoli, tagliato e distrutto dal fuoco nel 1719, con grande rammarico dei frati e della popolazione, in quanto segno tangibile di quella povertà e di quel fervore spirituale che avevano animato la comunità francescana. Il convento di Vallaspra intitolato da Fra Tommaso a Santa Maria degli Angeli, non solo nella dedica, ma soprattutto nelle strutture architettoniche, conserva il lindore delle forme francescane. La chiesa, con navata centrale ed una laterale, si arricchisce, ai primi del 1700, di una cappella dedicata a San Pasquale Baylon, spagnolo, laico francescano, canonizzato nel 1860, in onore il Contestabile Colonna mutò il titolo del convento e, “San Pasquale” semplicemente, più che Vallaspra, indica la località ed il complesso monastico, non solo per gli atessani, ma per tutta la popolazione della zona che da sempre ha riservato sul convento la proiezione di una immagine di laboriosità e povertà, di spiritualità e di preghiera. In realtà tutto il percorso terreno della comunità francescana è stato costellato da esempi mirabili di vita operosa ed edificante. Attinsero alla santità il beato Antonio da Tornareccio, morto dipeste nel 1504, ritrovato ancora inginocchiato, dopo molti giorni di decesso, con la faccia e le braccia levate al cielo, il beato Epifanio Teutonico, di origine germanica, morto nel 1510, sorpreso più volte in estasi e capace di scacciare il demonio dal corpo degli energumeni e Fra Pacifico di Castiglione del Principe (ora Messer Marino), a cui la tradizione attribuiva la facoltà di poter parlare, di notte e in chiesa, con i fratelli defunti. Una fiorente, ricca e dinamica stagione economica e culturale fu vissuta dal convento di Vallaspra, a cavallo del XVI sec., con l’attivazione di un lanificio, operante per più di un secolo e chiuso nel 1675, legato all’intenso periodo dei traffici, degli scambi e dei commerci lungo le arterie ermentizie. Fra i religiosi addetti al lanificio del convento di Vallaspra, un posto particolare occupano Basilio di Casacalenda, frate laico, maestro dell’arte dei panni ed i fratelli Fra Paolo e Fra Mansueto da Caramanico, morti rispettivamente nel 1612 e nel 1614, particolarmente abili nel filare la lana, ma anche, contemporaneamente, dediti alla preghiera ed alla meditazione. Perciò quella lana, usata per il saio francescano e ad uso delle varie comunità, veniva filata e tessuta nella preghiera, così come veniva gualchierata alla fonte, asciugata al sole, da ultimo cimata e passata al mangano, al canto delle lodi e degli inni religiosi. Ma il convento non fioriva soltanto nel settore della tessitura, esso si dotava, con grande lungimiranza e sensibilità artistica, anche di opere d’arte insigni e significative, come una cinquecentesca statua di terracotta di San Francesco e la tavola rappresentante la Madonna con il bambino, ancora apprezzata nella sua ricca cornice dorata di epoca settecentesca. In questo dipinto, inoltre, bisogna riconoscere parte della più grande tavola commissionata dai frati nel 1541, durante la fiera di Lanciano, a due artisti veneziani, e registrata mediante contratto ancora conservato negli archivi notarili di Lanciano. In seguito, nel 1666, il convento che presentava cedimenti e lesioni, venne rinforzato con i contrafforti ancora visibili e lavori di ampliamento interessarono anche la chiesa, con la costruzione del portico a 5 arcate, ultimato nel 1731, come si evince anche dalla data incisa sul portale in pietra che dà accesso al chiostro. All’epoca di tali lavori, nell’anno 1709, durante un terribile periodo di siccità, il padre guardiano Antonio De Ritis prese un po’ d’olio dalla lampada di San Pasquale e lo versò nel pozzo, invocando il miracolo.

E il miracolo avvenne e l’acqua dissetò i monaci e l’intera popolazione di Atessa, anche se questo non è l’unico fatto prodigioso accaduto nel convento. La cronistoria di Padre Arcangelo da Montesarchio riferisce, tra gli altri, anche il suggestivo prodigio del pane fresco e caldo, trovato dai frati, dopo la messa notturna di Natale 1613, senza che sulla neve, che isolava completamente il convento da più di 15 giorni, si potessero trovare tracce umane. La dimensione spirituale e lo spessore di vita religiosa hanno tuttavia rappresentato la vera forza della comunità francescana. Un documento del 1702, conservato nell’archivio del convento, ci rivela per quell’anno la presenza di ben 16 religiosi, impegnati nel professorio o noviziato, mentre tra le mura monastiche i frati coltivavano studi di logica. Con la diffusione delle idee della rivoluzione francese, per il convento inizia un lungo periodo di travaglio e di degrado. Chiuso una prima volta nel 1811, per la legge di soppressione degli istituti religiosi, emanata da G. Murat, re di Napoli, il convento all’indomani dell’Unità d’Italia, subì la legge del 1866 sull’incameramento dei beni ecclesiastici e religiosi da parte del nuovo stato italiano e fu chiuso una seconda volta, diventando prima proprietà demaniale e poi proprietà comunale, usato come deposito di attrezzi e materiali per il vivaio attivato dalla forestale. La rinascita di Vallaspra come convento e come faro di operosità e religiosità, è datata 1936, quando i Missionari Oblati di Maria Immacolata, accettando di insediarsi nel monastero, danno inizio ad una lunga e paziente opera di ristrutturazione, ampliamento ed abbellimento delle strutture conventuali, opere che culminano nella edificazione di una grotta alla Madonna di Lourdes nell’Agosto 1958 e nell’allestimento, due anni dopo, delle stazioni della via Crucis lungo il viale che porta al belvedere, ora trasformato in parco botanico. Oggi, il convento di Vallaspra, che rappresenta un momento significativo della memoria storica degli abitanti della zona ed una esperienza plurisecolare di vita religiosa ed operativa, si prepara a nuova forme di collaborazione e di solidarietà con la comunità di Atessa e dintorni. E, in una società in così rapida e frenetica evoluzione tecnologica e sociale, dove più che mai si avverte il bisogno di ridare, un significato profondo all’esistenza e di riscoprire valori autentici e duraturi, il convento di Vallaspra può ancora trasmettere un forte senso di appartenenza e di identità religiosa, spirituale e culturale e continuare ad essere per generazioni future un centro di riferimento solido e sicuro ed un polo di aggregazione, di preghiera e di apostolato.

Foto: Riccardo Menna
Contenuti: Gilberto Testa
 

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